"DALLA CRISALIDE ALLA FARFALLA" - LA GRAVIDANZA DURANTE IL COVID-19 - INTERVISTA AD UNA COPPIA DELLE REGIONI ROSSE
La gravidanza implica dei profondi cambiamenti da un punto di vista fisiologico, psico-emotivo e sociale. Tali cambiamenti sono costellati anche da naturali momenti di crisi e stress; ragione per il quale è necessario un graduale percorso di adattamento alla situazione.
Quanto esplicitato riguarda la donna in primis ma anche l’uomo, la coppia e la famiglia nel suo complesso.
L’arrivo di un bambino infatti, richiede la creazione di uno spazio fisico e mentale che lo accolga e gli garantisca l’affetto e le attenzioni necessarie per il suo benessere.
In questo momento storico però, a causa della pandemia da Covid-19, le situazioni di stress legate al pericolo di contagio, alle differenti misure restrittive e in generale, allo stravolgimento della quotidianità; si è giunti a vivere una gravidanza diversa “dalle aspettative”, ad una revisione delle strategie da mettere in atto per vivere al meglio questo periodo. Quanto detto ha provocato l’insorgenza di emozioni variegate che si sono mischiate a quelle tipiche derivanti dall’attesa della nascita.
È stata svolta un’intervista ad una coppia che ha avuto il loro primo bambino a fine maggio, appena dopo le prime riaperture dopo il lockdown.
S è una ragazza di 38 anni, di origine romagnola ma residente in Lombardia. È sposata con R, un operatore sanitario lombardo di 41 anni che ha lavorato sul campo per tutta la quarantena.
S ha partecipato a 2 interviste: una a inizio luglio e una a metà settembre; mentre R solo a quella di settembre per questioni organizzative.
1° intervista alla mamma - luglio 2020
· Ciao S, intanto auguri per il lieto evento! Come ti senti?
Grazie mille, sono al settimo cielo ma frastornata… sono stati mesi in cui è stato tutto così strano e mi aspettavo che tante cose andassero diversamente…ma non so come, ce l’abbiamo fatta!
· Raccontaci la tua esperienza. Tu hai saputo di essere incinta quando ancora non c’era la pandemia, vivendo poi dalla metà circa della gravidanza durante il lockdown, fino al parto che è avvenuto
durante l’inziale riapertura. Come hai vissuto questo periodo?
La quarantena è iniziata a febbraio ed io ero al 7’ mese, quindi la gravidanza era arrivata ai mesi più delicati.
Sono passata da una sensazione di gioia ad una solitudine crescente: ho iniziato ad essere tutto il giorno a casa da sola, man mano hanno iniziato a limitare le uscite chiudendo i parchi fino a poi il lockdown totale.
Non vedere più amici e parenti, la mia famiglia lontana perché vive in Romagna … è stato pesante il primo periodo.
Fisicamente, man mano che passavano le settimane iniziavo a risentirne… mi si sono gonfiate le gambe a dismisura perché non potevo camminare, con la mascherina alle visite andavo in iperventilazione e alcuni giorni oscillavo tra un’energia che non riuscivo a scaricare ad una stanchezza più mentale che fisica.
La forte paura del contagio non l’ho mai davvero sentita, forse appunto perché ero in una condizione “protetta” a casa, lontano da tutti… ma accusavo gli effetti collaterali, per così dire, delle norme di sicurezza. Quindi: il distanziamento dalle persone a me care, le limitazioni nell’uscire e le tante precauzioni durante le visite in cui i dottori stessi, giustamente, risultavano freddi e rigidi per il rischio di essere contagiati erano pesanti da tollerare.
Mio marito lavora nel campo sanitario, perciò questo periodo non è stato facile nemmeno per lui: aveva paura di essere contagiato e di contagiare me, era sotto stress per la gestione del lavoro, alle volte era giù di morale perché non poteva starmi troppo vicino sia alle visite che in casa.
È stato insomma, un periodo complesso per entrambi e purtroppo abbiamo messo in stand-by “delle cose” l’uno dell’altro e di noi come famiglia.
Persino stare sotto lo stesso tetto per noi due era diventato complesso, eravamo praticamente “separati in casa”: dato che il lavoro che fa è ad alto rischio di contagio, come precauzione in casa abbiamo mantenuto le distanze di sicurezza, lui ha indossato guanti e mascherina per il tutto il tempo che passava in casa, arieggiavamo spesso le stanze e abbiamo dormito in camere separate. È stato tutto molto strano e assurdo! La sera ascoltavamo facevamo le videochiamate per addormentarci insieme…
· Mi dispiace…Non deve essere stato semplice per nessuno dei due…
No per niente! Non era così che lo immaginavo! Da un lato ero triste ma anche forte e serena perché avrei protetto il mio piccolo come meglio potevo! E volevo essere di conforto a R dandogli forza per affrontare la sua quotidianità e allo stesso tempo, fargli vivere il più possibile la nostra gravidanza.
È il nostro primo figlio... lo abbiamo desiderato e abbiamo cercato di goderci tutto il più possibile ma non era così che lo immaginavamo… anche se siamo comunque riusciti a trovare il nostro equilibrio.
· Come hai gestito tutto questo?
Io credo di essermi creata… come una bolla intorno... una sorta di bolla protettiva in cui tutto andava bene ed eravamo solo io e il mio bambino… ho tentato di non focalizzarmi sul Covid… di stare fuori da quel mondo “malato” ma di essere serena e questo mi ha aiutata molto.
Ho cercato di organizzare le giornate in un modo che mi facessero sentire serena ed appagata come: leggere, disegnare, ballare con la musica, cantare e parlare al bambino. Per me era essenziale trasmettere benessere e tranquillità al mio bambino e godermi anche io come potevo le sensazioni positive che provavo.
· Ha funzionato questa strategia?
Io credo mi abbia salvato molto... anche se di fatto ho vissuto come in due mondi: quello intorno a me fatto di tristezza, malattia e solitudine e quello che avevo creato io per me e il mio bambino. La mia paura più grande era di prendere il Covid e trasmetterlo a lui, la mia paura era per lui! Ma con la quarantena diciamo che non l’ho sentita in modo esagerato; ero più preoccupata per R, che si ammalasse e io non avrei potuto stargli vicino o ancora peggio che lui lo trasmettesse a me e al bambino. Ho cercato di essergli di conforto come potevo, facendolo anche sentire partecipe della gravidanza e parte “della bolla di serenità” che avevo creato. C’è anche stata la grossa paura che lui potesse essere stato contagiato ma per fortuna non fu così.
L’ultima settimana di gravidanza invece è andata meglio, perché R ha fatto il tampone ed è stato a casa. Eravamo finalmente di nuovo vicini tutti e tre.
· Com’è andato il momento del parto?
Il parto è andato benone ma tutto il contorno no.
Al parto sono arrivata tranquilla, ma allo stesso tempo gli ultimi giorni intorno ero terrorizzata! Devo essere sincera, non tanto per il parto in sé… ho pensato che le donne partoriscono da sempre, ma l’idea di come potesse essere la situazione in ospedale vedendo la tv…mi rabbrividiva!
Ho fatto il tampone qualche giorno prima del parto, alla scadenza del termine, ma appena arrivata in ospedale la notte che mi si sono rotte le acque mi sono sentita trattata come un’infetta! Non per colpa dei medici ovviamente, capisco la loro precauzione, ma il vedere tutti super coperti e con le mascherine…non poter entrare al pronto-soccorso, il salutare in meno di 2 minuti mio marito e sapere che forse lo avrei rivisto solo dopo la nascita… (si perché noi avremmo voluto che lui partecipasse, ma data la situazione non ci avevano dato la certezza che avrebbe potuto, invece poi gli hanno fatto il tampone ed è entrato solo in sala parto)…comunque è stato tutto assurdo…
Ringrazio medici e infermieri perché mi hanno fatto sentire molto a mio agio, ma stare lì… passare quasi 12 ore di travaglio e 1 giorno e mezzo da sola… non è stato bello. Veniva qualche infermiera a misurarti la pressione, a vedere come stavi ma eri sola... e c’era anche un silenzio tombale... un silenzio freddo... nessuno per i corridoi, nessun sorriso, nessun papà o parente che passeggiava... solo qualche medico o infermiera che controllava le donne nelle varie stanze e stop!
La presenza di R al momento del parto invece è stata una sorpresa stupenda! È stato un momento speciale perché nonostante tutto quello che era successo stavamo condividendo il momento più magico. È stato come ritrovarci! Mi ha dato forza e coraggio. E non ho pensato ad altro che a quel momento… a noi 3! Esisteva solo quello, non so come spiegarlo... non esisteva il Covid, non esisteva nulla… esistevamo noi e nostro figlio che stava nascendo.
· Come sono stati i primi giorni dopo il parto?
Ero felice, eravamo io e lui in camera... anche il primo allattamento è stato meraviglioso.
Non avevo molto latte, serviva l’aggiunta, ma lui si attaccava abbastanza facilmente.
Purtroppo però hanno diagnosticato a Matteo una leggera bradicardia e quindi ci dissero che saremmo dovuti rimanere in ospedale 3 giorni in più per monitorare la situazione e vedere se andasse a posto spontaneamente o sarebbero state necessarie delle cure.
Quando me lo hanno detto mi sono sentita tremare la terra sotto i piedi, ho avuto un pianto forte, di sfogo... ero preoccupata, sola a gestire questa situazione, perché R dopo la sala parto non ha più potuto rientrare, non sapevo che fare. Avevo paura fosse grave… Il medico ha tentato di tranquillizzarmi dicendomi che ogni tanto succede nei neonati e che spesso sparisce da sé il problema, ma la preoccupazione resta.
Inoltre, proprio perché dovevo rimanere di più dentro, sono stata spostata di reparto: il bambino è andato a neonatologia e io a ginecologia. Quindi anche questo non ha aiutato... non era più in camera con me e avrei potuto andare da lui solo nel momento della poppata.
Rispetto a questo, non mi sono trovata bene con il reparto di neonatologia, come dicevo, non avevo abbastanza latte e avevo bisogno dell’aggiunta e mi sono sentita dire che “il latte viene se uno vuole!”.
Sono tornata in camera cercando di lasciarmi scivolare queste parole e proseguendo con l’idea di attaccarlo comunque per il colostro, il poco latte che c’era e il contatto con me… ma non sentirsi capita e colpevolizzata... ero già preoccupata per ciò che potesse avere, mi sentivo sola...è stato davvero brutto. Per fortuna ero in camera da sola per via del Covid, così ho potuto stare al telefono con mio marito e abbiamo fatto la videochiamata… ma avrei voluto un abbraccio e andare via da li.
Poi li mi sentivo limitata perché non potevo stare con il mio bimbo; appena finivo di allattare mi mettevano fretta per andare via…
Mi avevano detto che mi avrebbero chiamata se avesse pianto e invece poi per non farmi andare lì gli avevano messo il ciuccio! A me non è andata bene! Il mio bambino aveva bisogno della sua mamma e non del ciuccio! Avevo anche letto che non si dà il ciuccio i primi giorni, per evitare che si abitui.
Io mi sono arrabbiata perché avevo fatto il tampone prima di partorire ed ero negativa! Quindi non c’era nemmeno quel motivo per non chiamarmi!
Volevo tornare a casa perché non mi sentivo sicura... Ero già preoccupata per la bradicardia, ma poi sempre con la mascherina h 24 persino per allattare, paura a toccare tutto e continuare a disinfettarmi, potevo vedere Matteo solo in certi momenti… non ce la facevo più... non mi sentivo supportata.
E comunque cosa vuol dire che il latte viene se uno vuole?! Io lo desideravo eppure non arrivava più di così! che colpa ne ho?!
· Capisco…deve essere stato davvero brutto, mi dispiace che tu abbia passato tutto questo…
Ero sola a gestire queta situazione e la mia mente era affollata da preoccupazioni… non più legate al virus, anche, ma secondarie. Dopo che una ha partorito, si hanno gli ormoni in circolo… ci si ritrova da una condizione in cui hai un bambino in pancia e poi da un momento all’altro hai un bambino fuori con altre esigenze, altri pericoli da evitare e che richiede un modo di relazionarti e delle attenzioni diverse… un po’ di supporto in più me lo aspettavo! Anche perché appunto, la situazione è già difficile per il virus che ha portato distanza, solitudine e aria di malattia… non lasciatemi ancora più nel pallone! non esiste solo il Covid! Ci sono anche altre esigenze da combaciare.
Dei consigli, per esempio su come toccare l’ombelico, non dico che mi dovevano dire tutto, ma cose particolari come l’ombelico… sono al mio primo figlio, se non me lo dicono loro cosa fare…! Sentirmi dire invece, da persone di cui tu hai bisogno: “sì ma dai fallo da sola, ti deve venire naturale come farlo…” è stato brutto e non d’aiuto. Poi si l’ho fatto ovvio, ma in quel momento avevo bisogno di sostegno e non di sentirmi quasi rimproverare se facevo domande o se andavo spesso a vedere se mio figlio aveva bisogno di me.
Più stavo in quell’ambiente e più non mi sentivo tranquilla…
· E quando sei tornata a casa invece com’è andata?
È stata una liberazione tornare a casa! in 3 giorni io ho cambiato faccia e lui ha letteralmente preso peso! In 3 giorni! A casa c’era finalmente tranquillità! Stavamo tutti meglio!
Ovviamente la prima sensazione è di sentirsi incapaci, inesperti perché sei mamma da pochi giorni ed è tutto da scoprire; ma sentivo fortemente che a casa, con la giusta tranquillità per tutti, avremmo potuto farcela! Pian piano infatti inizi a conoscere tuo figlio, a intuire cosa vogliono dire i suoi pianti: se ha fame, se deve essere cambiato… è tutto da scoprire ma ora avevo modo e spazio per farlo.
Il non avere nessuno che ti aiuta i primi giorni, come una mamma o una suocera, è pesante ma si riesce. È più una questione pratica ed organizzativa. La casa i primi giorni è stata un delirio (ride) ma sono cose secondarie.
Poi c’era anche mio marito: avevamo bisogno di contatto tra noi per ritrovarci, per conoscerci come genitori, per conoscere nostro figlio e poterlo aiutare a dargli ciò di cui aveva bisogno per il suo benessere.
Il più era non essere più in ospedale, che tutto fosse andato bene e che eravamo finalmente insieme. Il resto si sarebbe fatto un passo alla volta.
· Hai fatto un corso pre-parto per affrontare la nascita oppure un corso che ti supportasse per queste prime fasi di cura e ascolto del neonato?
Io non ho potuto fare né corso pre-parto né corso per il bimbo appena nato a causa della pandemia. Dovevamo farlo online ma alla fine è stato annullato. Ho solo letto tanti libri e poi facevo le videochiamate con mia mamma, mia suocera, amiche che avevano figli…ovviamente non è la stessa cosa ma meglio di niente. Ho evitato internet perché in un forum al quale mi ero iscritta durante la gravidanza, si scrivevano cose contrastanti e ho notato che mi mandava in confusione…. Alcuni scrivevano di come “la cognata di qualcuno” dicesse che bisognava tenere il bambino in un certo modo…. ma poi veniva smentita da altri commenti… Per non parlare poi del Covid! si diceva che chi si ammalava di Covid avrebbe avuto un parto prematuro… cose così che però non stavano scritte da nessuna parte! Quindi ho evitato…
La prima volta che ho avuto davvero paura è quando Matteo ha avuto una colica: piangeva fortissimo e mi sono spaventata perché mi sembrava facesse fatica a respirare e non sapevo cosa fare… Poi in realtà era una colica espressa in un modo “diverso”; io mi aspettavo che si contorcesse e invece è stato solo un pianto talmente forte da mancargli il respiro, ma i polmoni non centravano.
La preoccupazione non era per il virus ma per quella bradicardia che gli avevano diagnosticato alla nascita... che poi quando ci hanno dimessi ci avevano detto che era andata a posto, ma in quel momento ti vengono mille dubbi.
· Come sono state le prime uscite?
La prima volta fuori è stato perfetto. Lui dormiva tranquillo e io vivevo finalmente un po’ del mondo esterno con R e il nostro bambino. Era un martedì pomeriggio, si stava benissimo, siamo andati al parco. Stare noi 3 insieme a passeggiare è stato stupendo… un sogno.
Ora usciamo spesso, ormai è arrivata l’estate quindi stare fuori è un piacere e si respira anche meno quell’aria di “malattia”.
L’aspetto brutto ovviamente, è che non vedi sorrisi ma solo mascherine. Giustissime per carità, anzi! Ma è triste per lui non conoscere i sorrisi delle persone…
Per ora poi, è stato imbraccio solo con i nonni da parte di mio marito, perché hanno fatto una quarantena molto stretta e quindi… Il nostro pediatra ci ha consigliato di non portarlo vicino a troppe persone, nel caso di incontri ci ha detto di restare sempre all’aperto; pian piano gli faremo conoscere anche il resto della famiglia. Un passo alla volta ma sta andando sempre meglio.
2° intervista alla mamma – settembre 2020
· Buon giorno Valentina, ci rivediamo dopo 2 mesi dalla tua intervista. Come stai?
Buon giorno a te. Sto bene. Come mamma, sono serena e felice per tutto quello che sto vivendo. Mio marito ha avuto 3 settimane di ferie e finalmente mi sono sentita nuovamente in una coppia. Abbiamo condiviso gli stessi spazi della casa… mi sembra quasi assurdo dire questa frase... dovrebbe essere la normalità e invece non lo era più. Abbiamo fatto le prime conoscenze di amici e parenti e ci siamo rilassati. Siamo anche andati a trovare la mia famiglia in Romagna e questo mi ha aiutato moltissimo.
Ovviamente tutti questi incontri sono avvenuti all’aperto, con mascherina, a debita distanza e in piccoli gruppi. Non si sa mai…ma è stato lo stesso una ventata di aria fresca dopo tutto quello che abbiamo passato.
· Cosa pensi rispetto all’anno che verrà?
Si parla tanto di seconda ondata… io spero vivamente di no, ma con il fatto che l’ho già sperimentata prima la quarantena, sono più tranquilla perché so cosa significa; allo stesso tempo, sono molto triste per lui... potrebbe fare più uscite, vedere più persone… ma se i contagi si alzano o addirittura una nuova quarantena si starà a casa. La tutela della salute prima di tutto, sua in primis e poi nostra; però ecco, gli si negherebbero cose che sono essenziali per la sua crescita, per il suo sviluppo, che lo stimolino e gli facciano vivere le prime esperienze.
Ciò che ora conta e ci dà forza è che sta crescendo bene, sta prendendo peso, fa i suoi vocalizzi, ci riconosce…è sereno.
· Pensi ancora ad un eventuale contagio?
Io penso sempre a lui, non ho paura per me ma ho paura che possiamo trasmetterglielo noi e che si ammali.
Purtroppo c’è questa situazione quindi dimenticare i rischi non si può; farà le sue esperienze con la massima sicurezza, sarà molto più complicato, ma non può nemmeno non stare con gli altri. Altrimenti vive davvero in una bolla isolata dal mondo. Purtroppo c’è il Covid e bisogna considerarlo, ma bisogna anche creare delle situazioni sicure per poter vivere.
· Che emozioni provi se pensi alla tua vita di ora?
Sicuramente tantissima gioia, ma anche tanta rabbia perché aspettavamo tanto questo bambino e me l’aspettavo in un'altra situazione. Questa storia mi ha demoralizzato, limitato, ho vissuto sola e poi anche lui… per il momento non ha vissuto esattamente come gli altri bambini: non è stato accolto come gli altri, nessun festeggiamento “classico”, non può avere le persone vicino ogni qual volta si vuole, vede solo volti con mascherine…
Capisco anche che come me, tante altre donne hanno vissuto così questo peridio e cerco di andare avanti nel modo più sereno possibile per me, per lui e per la nostra famiglia. Per fortuna stiamo tutti bene e questo è quello che conta! Il resto si farà un passo alla volta… con un grosso peso in più e un grosso carico di emozioni miste da smaltire, ma un passo alla volta si andrà avanti…
· Cosa intendi con “emozioni miste da smaltire”?
Diciamo che le emozioni che provo ora sono anche diverse da quelle che ho provato durante tutta la gravidanza ed alcune non le ho totalmente superate. Se dovessi fare una distinzione, direi che va a fasi.
Quando ho scoperto di essere incinta è stata una bomba di felicità e da li è cresciuta sempre più la speranza che tutto andasse bene.
Con l’arrivo della pandemia e con l’aggravarsi della situazione invece è cresciuta l’ansia e l’incredulità e man mano durante la quarantena l’inevitabile solitudine, la delusione per come stavano andando tante cose… non mi aspettavo sarebbe stata così la mia gravidanza. Allo stesso tempo ero tranquilla e serena, le tappe della gravidanza procedevano bene e anche io cercavo di trasmettere serenità al bambino rendendo le giornate attive e varie.
Al parto sono arrivata serenissima, non ero così preoccupata e le ostetriche sono state bravissime, ma poi è stato brutto tutto il contorno sia legato al Covid che alla vita in ospedale connessa.
Mi sentivo limitata nello stare con mio figlio e non mi sentivo capita come neo mamma, rispetto al latte e rispetto a tante cose.
…sminuire il mio sfogo quando ho pianto per la bradicardia di Matteo... il sentirmi sola… tutte le limitazioni legate alla prevenzione del contagio… brutto. Poi la sensazione era anche che il Covid venisse prima di ogni cosa, ma si può stare male anche per altri motivi e anche quelli vanno considerati.
Da quando sono arrivata a casa invece tanta serenità, un po’ di impotenza e di preoccupazione legata al nuovo ruolo…ma tanta tanta tranquillità. Avere mio marito a casa poi, è stato un ritrovare un po’ di quiete anche di coppia.
Ora rimane la rabbia e la delusione legata alla pandemia. Il non poter vedere nessuno o comunque solo all’aperto, con mascherina e distanza, il rischio di contagio sempre presente… anche l’inizio della vita di mio figlio non me lo auguravo così. Speriamo migliori tutto al più presto e che non si aggravi la situazione.
· Cosa diresti alle donne se ci dovesse essere un'altra quarantena?
Di vivere il più serenamente possibile per il vostro bambino. Anche se sei costretta a tante limitazioni e avresti voluto vivere la gravidanza diversamente, cercate delle cose che fanno stare bene voi e il bambino, psicologicamente ti aiuta e ti dà forza.
Io ho fatto tutto per lui e questo faceva stare in realtà bene anche a me. Entrare in contatto con il vostro corpo e con il ambino crea benessere generale.
Anche se non potete vedere le persone o non potete uscire, entrate in contatto con voi stesse e con il bambino.
Quindi se delle cose non si possono fare, siano esse per colpa del virus ma anche per altre situazioni che si possono verificare, cerate di essere creative e trovate delle soluzioni per favorire e salvaguardare la vostra serenità.
Inoltre non abbiate paura di chiedere aiuto se ne avete bisogno! Perché la solitudine può essere comunque mitigata! Chiedete aiuto ad amici, parenti o meglio ancora a dei professionisti che vi possano supportare psicologicamente, ma anche negli aspetti pratici della gravidanza o dubbi circa il virus. E non date invece retta a chi vi giudica senza aiutarvi! Anche se sono professionisti! Cercate aiuto per essere ascoltate e per essere sostenute a non gestire tutto nella solitudine.
Intervista al Papà - Settembre 2020
· Buon giorno R, grazie di essere qui a concederci questa intervista.
Ti va di raccontarmi come hai vissuto la pandemia e di come l’hai gestita anche in corrispondenza al fatto che saresti diventato papà?
Ciao, grazie a te.
È stato complicato: a livello pratico ho vissuto male il periodo in cui continuavo ad andare a lavoro e bene quando sono stato a casa perché mia moglie non era più sola ed eravamo tutti e 3 protetti.
Ampliando la riflessione, è stato strano vedere come tutto intorno a noi, tutti gli eventi andavano in una direzione di chiusura, sapevano sempre più di morte, di malattie, di paura e incertezza; mentre dall’altro l’alto, c’era un processo che stava seguendo il suo corso: la gravidanza. La gravidanza stava seguendo il suo corso, le sue tappe, i suoi ritmi; le visite andavano bene, la S stava bene, piccoli timori quando sembrava fosse troppo piccolo il bambino ma dando tempo al tempo tutto è andato come doveva… tutto procedeva.
Quindi da un lato eri invaso da questa ondata di morte e dall’altro questa ondata di vita che cresceva.
La situazione strana è che sentivi che tutto stava cambiando e man mano ti adattavi a questo processo, ma c’era anche tutto il mondo intono a te che anziché essere il tuo terreno stabile, si stava lentamente sgretolando… ed è come se si fossero invertite le parti: se nella normalità, la gravidanza è la novità e tu cerchi di adattarti ed evolvere; qui la gravidanza era il punto stabile e centrale del tuo universo e cercavi di adattarti a tutto ciò che intorno stava cambiando.
· Quali erano i tuoi pensieri?
Io sentivo che dovevo difendere questo nucleo di vita formato da S e dal bambino che aveva con sé, ma non ero sicuro di riuscire: con il mio lavoro in particolare, mi sentivo un problema quando tornavo a casa e magari avrei potuto contagiarla e mettere tutto a rischio. Ho fatto tutto quello che potevo fare per difendere questo universo: come dividere la casa e non stare negli stessi ambienti di mia moglie, restare solo in una camera quando ero a casa, lasciare i vestiti in garage, dormivamo separati e usavamo bagni diversi…
Poi mi sentivo anche una doppia responsabilità: la protezione della mia casa e la protezione dei miei pazienti, dei miei collaboratori e degli operatori. Io ho anche un ruolo di coordinatore, quindi spettava a me favorire la tutela di tutti; condivisa anche con altri ovviamente, ma la responsabilità c’è e la senti.
Quando poi hanno iniziato ad esserci i contagi anche tra gli operatori, inizi a sentire e vedere concretamente due responsabilità contrastanti e quasi inconciliabili: quella lavorativa e quella familiare. E questo è stato davvero brutto, ma non c’era soluzione.
Quando anche io ho dovuto fare il tampone ho dormito in ufficio in attesa degli esiti, perché avevo il terrore di tornare a casa. E il mio pensiero andava anche al fatto che se fossi stato positivo, chissà come avrebbe fatto mia moglie, dove sarei andato per non tornare a casa e contagiarla… per fortuna però gli esiti furono negativi!
· E man mano che si avvicinava il parto cosa provavi?
Sempre più adrenalina legata al parto, il Covid è come se per un attimo fosse passato in secondo piano. La speranza era che non ci fossero problemi e che la nascita andasse bene; sia rispetto al bambino che a S. Man mano che si avvicinava era un “lo stiamo portando a termine”!
Data la presenza del Covid questa forza era ancora più forte ovvio, ma non in modo esagerato... perché
è come se una volta che il bambino fosse nato, il rischio sarebbe stato quello di un bambino nato… quindi che è nel mondo come tutti e non più un bambino “che avrebbe potuto nascere” o “una mamma e un papà che avrebbero potuto ammalarsi e non portare a termine la gravidanza”.
La nascita rappresentava proprio il primo step principale ed essenziale: la vita. Ancora prima che arrivasse il Covid, da quando abbiamo scoperto che S era incinta, l’obiettivo è stato quello di tutelarlo e portarlo a poter nascere… anche per questo avevamo deciso che se ci fossero state malformazioni o patologie il nostro bambino sarebbe nato in ogni caso... sarebbe stato il nostro bambino. È andato tutto bene poi, ma chiaramente determinate situazioni vanno messe in conto e bisogna rifletterci.
Con la presenza del Covid senti ancora più forte questo desiderio di tutela e paura di non essere in grado... La nascita rappresentava il primo traguardo essenziale!
· Il fatto di non poter stare fisicamente vicino a S, come lo hai vissuto e gestito?
Il primo momento brutto è stata la prima visita al qual non ho potuto partecipare perché è coincisa con la comunicazione in cui la sua ginecologa, che l’avrebbe dovuta seguire fino al parto, non ci sarebbe più stata perché era stata inserita nel reparto Covid. Quindi la mia assenza e l’assenza del medico, con il quale hai un rapporto e ti fidi, ti lascia nello smarrimento. Il vedere mia moglie smarrita perché i suoi due punti fermi non c’erano, è stato veramente doloroso.
Inoltre anche l’atmosfera delle visite mi diceva S che era cambiata... ovviamente... maggiore distanza, tutto più veloce, tante comunicazioni via telefono...
Poi come se non bastasse ovviamente, nessuno poteva vedere o contare sull’aiuto della propria famiglia per via delle restrizioni della quarantena. La famiglia di S inoltre è romagnola, quindi era anche lontana…
I legami personali stavano cambiando e anche noi dentro casa, come dicevo, iniziavamo a prendere le “distanze”, solo fisiche ovviamente perché abbiamo fatto di tutto per sentirci vicini! Dalle videochiamate la sera da una stanza all’altra, dall’addormentarci al telefono, alle parole d’affetto più frequenti. Io mettevo delle ninne nanne ad “alto” volume così che si sentissero fino nella camera di S nonostante le porte chiuse... ma non era così che ce lo aspettavamo… non lo era proprio… e non sempre bastava.
· Quali erano le emozioni che maggiormente ti avvolgevano?
Va a fasi… la paura quando ho sentito che il controllo della sicurezza cominciava a vacillare ma allo stesso tempo il vedere che le varie visite andavano bene l’allentava.
Il lockdown sotto questo punto di vista non l’ho visto come una costrizione ma anzi, come una protezione del mio universo da un mondo ostile.
La vera costrizione era dover fare una vita simil-normale in una condizione non-normale.
A posteriori, quello che è prevalso è la gioia e lo stupore del miracolo e della forza della vita.
Se ci si pensa, anche in situazioni meno estreme, ci sono costantemente due dimensioni in contrapposizione dentro di sé: la dimensione della paura e della speranza. Da non confondere con l’ottimismo, un atteggiamento positivo... per me la speranza era di poter concretamente vedere mio figlio che nasce. La speranza è molto concreta in questo caso! Una vita che inizia.
Quindi mi sono sentito diviso tra la paura e la speranza della vita… di paura non si vive ma vivi sulla speranza. E la speranza non è ottimismo, ma significa fare cose concrete e saper riconoscere i segni concreti che l’alimentano. Vedere la S che stava bene, la pancia che cresceva, le visite che andavano bene; su questi elementi concreti fondi e alimenti la tua speranza.
Quando poi il bambino nasce la tua capacità di stare in attesa si concretizza nel vedere tuo figlio.
Però tutto il tempo dentro di me, era una continua lotta tra paura e speranza, e fuori era una continua lotta tra malattia, morte e vita.
· Ti sei mai sentito escluso o distante rispetto a qualche fase della gravidanza o della tua vita familiare?
No assolutamente, mi sono sentito sempre parte e partecipe, quello che sentivo era che non era abbastanza... il mio massimo poteva non essere abbastanza! Anche se non dipeso totalmente da me, come dicevo, la responsabilità la senti anche in questo senso; ma di fatto mi sono sentito e ho cercato sempre di essere coinvolto in tutto… dalle piccole cose alle grandi.
E per certi aspetti, anche la mia “distanza” fisica preventiva era un modo di essere partecipe; partecipe e garante della tutela di mia moglie e di mio figlio. Quindi era anch’esso un modo di essere coinvolti no?
Anzi, quando sono stato a casa intorno ai giorni prima e dopo il parto, mi sentivo non co-responsabile verso i colleghi, perché ero a casa e non sul campo. Non ero lì per dare il mio contributo.
Ma nella gravidanza ero dentro su tutto; questo anche grazie a mia moglie che è stata capace di farmi sentire dentro a tutto. Inoltre è vero che alle visite non entravo, ma io ero fuori! C’ero!
La sorpresa poi di poter partecipare al parto è stata eccezionale. Noi lo avevamo richiesto ovviamente, ma data la situazione non c’era certezza. Invece quando S è entrata in travaglio hanno fatto preventivamente un tampone anche a me e mi dissero di aspettare. Alla fine sono potuto entrare in sala parto. Non ho potuto stare con lei né quando è entrata in ospedale dopo la rottura delle acque né dopo il parto, ma nel momento più emozionante c’ero! E me lo sono goduto tutto! Ed è stato un po' come confermare la mia presenza… tagliando il cordone ho fatto un gesto significativo e quasi simbolico.
Il lavoro grosso invece, è anche rispetto al proprio narcisismo e al proprio ego rispetto al lavoro in cui ad un certo punto riconosci e ti poni il limite.
Mi riferisco sempre appunto, a quando sono stato dei giorni a casa perché in concomitanza con il parto. Li accetti di non essere un super uomo per così dire... e che ad un certo punto non puoi fare tutto e devi dare delle priorità. E la mia famiglia era la mia priorità.
Rispetto al dopo invece, il rammarico forte è quello della non condivisione con le persone care. Quando sei felice lo vuoi condividere! Dopo il parto ero orgogliosissimo di mia moglie e del mio bambino, avrei voluto mostrarli a tutti... e invece no.
E questo è triste perché apre il discorso della non ripetibilità degli eventi. Cioè si nasce una volta sola e i miei genitori, i miei fratelli, così come la famiglia della vale... lo hanno perso. Lo hanno perso loro, abbiamo perso noi il poter condividere l’emozione del momento e lo ha perso anche nostro figlio di conseguenza. Ovviamente poi la commozione non si è risparmiata nei primi incontri, ma non è la stessa cosa... non era così che ce lo aspettavamo e su questo c’è della rabbia e della tristezza...
· Come li hai vissuti i primi contatti con gli altri e le prime uscite familiari?
Bellissime ma anche qui... limitate per la paura del contagio. Diciamo che la bella stagione ha aiutato tantissimo perché si sta all’esterno, quindi il contatto con le persone non è così drammatico avvenendo fuori, con distanza e mascherina.
Un momento bello è stato quando ho detto a mio fratello “prendilo in braccio” e gli si è proprio illuminato il viso! Suscitando quasi una sorta di invidia negli altri familiari. In tempi normali non sarebbe stato così... però per certi versi, questo ha reso ogni gesto più prezioso e carico di sentimento. Ovvio... meglio comunque se non c’era il Covid! (ride)
Ti rendi conto che tuo figlio diventa un portatore di gioia, di miracolo! E anche per questo lo vuoi condividere.
Ti racconto una cosa: un giorno ho accompagnato S a fare una visita, Giacomo era già nato, e usciti dalla visita S torna indietro perché aveva dimenticato di chiedere qualcosa... allora io sono rimasto ad aspettare con il passeggino sotto un albero all’ombra. Passano due signore, entrambe di mezza età, che si fermano a distanza e mi guardano per un attimo; poi una di loro mi domanda “posso chiederle una cortesia? Senza avvicinarmi, ma me lo fa vedere?” allora l’ho girato e la signora gli ha fatto un sacco di complimenti ed era molto felice di averlo potuto vedere. È qui capisci che la nascita già di per sé è bellissima, è la gioia della vita.
In questo momento però, sembra ancora più esasperato questo bisogno di vedere e celebrare la vita… dove tutto puzzava di malattia e morte, la nascita è dirompente.
· Credi che questa gravidanza ha in qualche modo attenuato le emozioni negative rispetto al complesso periodo di pandemia?
Non lo so... non credo, perché di fatto avrei vissuto un timore dimezzato: avrei vissuto solo l’apprensione che tutto andasse bene, ma specifico della gravidanza e non legato al contagio; non mi sarei sentito io un pericolo per mia moglie e mio figlio e non sarei stato schiacciato dal timore di non essere in grado di rispettare efficacemente la mia responsabilità lavorativa e familiare.
Io credo che la pandemia abbia esaltato il significato spirituale e simbolico della nascita e della vita. Proprio per contrasto luce-ombra… tutto era buio ma questa fiamma di vita brilla più forte.
E questa sensazione è stata all’ennesima potenza per noi, ma anche per le nostre famiglie e a quanto ho potuto constatare, a tutte le persone introno a noi.
· Oggi come vivi il tuo presente?
Sono sereno ma abbattuto, perché siamo ovviamente ancora limitati nel fare delle visite a casa con gli amici e colleghi. In condizioni normali avrei invitato amici e colleghi a casa, oltre la famiglia ovviamente; mentre ci vediamo per lo più solo con i familiari all’aperto e con mascherina…
Resta di fatto costante il rammarico della non condivisione: il non poter condividere, meno estremo rispetto a prima ma comunque presente.
È inoltre ancora attuale la paura che possa sempre avvenire un contagio, ma anche la gioia che si è arrivati fino a questo importante traguardo.
E poi mi sento… come se fossi arrabbiato ogni qual volta che penso a voler fare qualcosa e dover invece programmare tutto, valutare i rischi e i benefici… si perde la gioia dell’impeto e della spontaneità legata al desiderio di quel che uno vorrebbe fare.
· Se guardi al futuro cosa pensi?
Se penso al nuovo anno, sento che sarà sicuramente un anno complicato ma non saremo più colti di sorpresa… si cercherà di affrontarlo nel migliore dei modi e con tutte le precauzioni possibili.
Il mio pensiero, anche rispetto a mio figlio, è che ora è venuto al mondo e come tutti avrà il suo destino e tutto ciò che arriverà avrà il suo valore esperienziale. Noi lo tuteleremo ovviamente, ma lui sarà sempre più forte e capace; mentre prima la paura era riferita al pericolo che “avrebbe potuto venire al mondo come no” e sarebbe stato un grandissimo peccato… non ci sarebbe stata questa occasione per lui in primis e per noi di conseguenza. È come se ora che è qui, mi sentissi anche più forte io stesso per poterlo proteggere ed aiutare.
Si conclude definitivamente qui l’intervista a S e R dopo i ringraziamenti e gli auguri per il futuro.
ANALISI
Da questa intervista emergono molti elementi degni di nota.
Un primo elemento riguarda le aspettative. Sia l’uomo che la donna creano delle aspettative sulla gravidanza e il parto, su come sarà il loro bambino e sulla relazione con esso.
Differenti studi sostengono che tali aspettative, nelle madri, sono anche in parte predittive di come saranno le interazioni genitore-figlio; allo stesso tempo, ci sono molti altri fattori che influenzano questo aspetto.
La cosa che emerge maggiormente è che il Covid ha influenzato notevolmente il loro modo di “pensare” alla gravidanza e al parto, non solo da un punto di vista fisico ma anche psicologico.
Interessante è il punto di vista di R rispetto a ciò, in cui dichiara che le sue aspettative rispetto a come avrebbe vissuto questa fase, con la presenza del Covid, si sono quasi ribaltate: senza il virus, si sarebbe atteso di doversi adattare alla gravidanza ed avere il contesto intorno come riferimento; invece si è ritrovato a vivere la gravidanza come punto fermo del suo universo e ad essere in difficoltà nell’adattarsi ad un mondo circostante che si stava sgretolando.
Sulla stessa linea, S esplicita più volte che le sue aspettative e quelle della coppia in generale, erano molto diverse. La ragazza si aspettava una maggiore presenza fisica da parte delle persone a lei importanti e di poter condividere maggiormente con il marito ciò che stava provando.
La perdita dei punti di riferimento, lo smarrimento e la confusione sono elementi di rischio in un processo già orientato al cambiamento.
Anche la perdita delle relazioni influisce nel senso di solitudine. R racconta di quando la moglie in un pomeriggio si è ritrovata a non avere più accanto suo marito durante le visite e nel non rivedere il suo consueto ginecologo. Oltre a ciò, anche il graduale distanziamento sociale e chiusure non hanno aiutato ad attenuare questa sensazione, ma ha costretto a dover gestire tutto da soli e di non avere la certezza di esserne in grado.
Sia S che R esplicitano della paura che il loro meglio “non fosse abbastanza”. Questa sensazione con il Covid si è fortemente amplificata, ma è una condizione già presente durante la gravidanza in quanto tutto risulta nuovo. Per tale ragione è importante aiutare i futuri genitori ad andare a fondo di queste emozioni e di questi pensieri per poterle comprendere e superare; nello scenario attuale, tale aspetto diventa maggiormente impellente.
A tal proposito, R racconta della difficoltà che ha avuto nel doversi porre e riconoscere il limite di non poter gestire e controllare tutto, ma dover scegliere cosa fosse prioritario (nel suo caso tra tutela del lavoro o della famiglia); in realtà questo aspetto non è dovuto solo alla presenza del Covid come R pensa. Sicuramente lui si è trovato in questa condizione così drastica a causa del rischio del contagio, ma il non essere infallibili o inesauribili fonte di energie o semplicemente essere costretti a scegliere cosa fare è una condizione che i genitori si trovano spesso a dover affrontare. Soprattutto quando si tratta di bilanciare vita lavorativa e vita familiare. Non esiste una regola d’oro d’applicare, anzi bisogna aiutare i genitori a non sentirsi in colpa nel prendere una decisione rispetto ad un'altra o nel preferire un’area rispetto all’altra. L’importante è incoraggiare il giusto equilibrio, la consapevolezza e anche l’accettazione di essere umani che sbagliano.
Questi elementi riguardano sia l’uomo che la donna ed è altrettanto essenziale rompere i tabù o gli stereotipi che incastrano e rinforzano la frustrazione e il malessere.
Ritornando alle aspettative, un aspetto circa il bambino lo riporta S quando dichiara che si aspettava un’accoglienza diversa: “non sta vivendo come gli altri bambini…nessun festeggiamento… non vede sorrisi ma mascherine…”. Questa sensazione fa sì che permanga anche la rabbia rispetto alla presenza del virus e il senso di ingiustizia.
Sarebbe utile e interessante riflettere sulle differenze tra l’immaginario e la realtà di R ed S, indipendentemente dal Covid.
Un altro aspetto che viene messo in luce sono le paure e le responsabilità differenti prima e dopo la nascita e di come il Covid abbia rimarcato ed influenzato questa differenza.
R riflette sul come il pericolo durante la gravidanza sia il “non compimento” di un processo, ovvero che il bambino muoia e quindi non si realizzi il progetto familiare; mentre una volta che il bambino è venuto al mondo, nonostante i pericoli, ha la sua occasione e la sua forza per crescere senza dover contare solo sull’esclusiva tutela dei genitori. Ciò che avviene dunque, è una riflessione chiara sul cambiamento del senso di responsabilità e sulla paura di non essere in grado o di non fare abbastanza.
Il Covid ancora una volta ha messo in risalto un aspetto già presente prima di esso; infatti R esplicita che senza il virus le sue paure sarebbero state dimezzate.
Anche S appare molto più sicura e forte quando pensa al futuro, rispetto a quando era incinta: “si dovranno creare delle condizioni per vivere in sicurezza, ma non si può negargli di stare con le persone”.
Ad oggi, pensando ai rischi del nuovo anno, entrambi sottolineano che l’aver già sperimentato la quarantena e la pandemia li aiuta a sentirsi più forti; tuttavia, la grossa componente di differenza resta l’aver compiuto il primo step: portare a termine la gravidanza.
Risulta evidente come sia importante accompagnare i genitori lungo questo processo, a comprendere come il loro ruolo si modifichi e continuerà a modificarsi con l’avanzare dell’età del bambino.
Un aspetto connesso alle paure sono le differenti strategie messe in atto dai due membri della coppia per gestire la gravidanza durante la pandemia, partendo ovviamente da condizioni e ruoli diversi.
La strategia che ha messo in atto R, è stata quella di osservare i fatti concreti e di muoversi in modo cauto bilanciando la responsabilità familiare con quella lavorativa.
Egli sottolinea più volte che la sua speranza che le cose andassero per il meglio si basava su fatti che poteva constatare, dandogli la forza di continuare in quella direzione. C’è un buon equilibrio tra cognizione ed emotività.
Per S invece la strategia utilizzata è stata quella di estraniarsi da una realtà malsana, aiutata anche dalla quarantena, per garantire a se stessa e al suo bambino la serenità di cui avevano bisogno: “ho creato una bolla protettiva”.
In entrambi i casi, appare che le tecniche attuate sono state parzialmente funzionali, in quanto hanno momentaneamente permesso loro di superare il delicato momento di vita, ma hanno lasciato dietro di sé un bagaglio di emozioni “non ascoltate” perché troppo complesse da gestire in quel momento. Ad oggi infatti, si notano delle emozioni non elaborate e quindi tutt’ora presenti. Per esempio: “mi sento ancora arrabbiato…”, “resta la delusione…”, etc.
Le emozioni non elaborate rischiano di rimanere vive nel soggetto, influenzando il suo equilibrio e le sue esperienze future.
Le emozioni riportate dalla coppia, sono variegate e non sempre scaturite o ampliate dalla presenza del Covid: felicità, ansia, solitudine, delusione, impotenza, preoccupazione, rabbia, etc.
Quanto emerso fa capire che la gravidanza e tutto ciò che ne concerne, richiede una grande attenzione agli aspetti emotivi in quanto determinanti della salute psico-fisica della mamma e del bambino. Differenti studi mostrano come gli effetti dello stress sulla donna siano molto dannosi per il bambino; al contrario gli effetti del Covid pare non abbiano un impatto così diretto sul nascituro. Ciò significa che lo stress è più malsano del Covid stesso.
Quanto esplicitato è anche il principale punto in comune che emerge dalle due interviste; ovvero che ci sono degli aspetti specifici della gravidanza che si presentano indipendentemente dalla pandemia e di altri invece che sono stati influenzati da quest’ultima. Questo elemento è fondamentale per sottolineare che il pericolo del Covid va considerato e gestito, ma ci sono tutta una serie di elementi che riguardano il delicato momento della gravidanza e il post-gravidanza che non possono essere trascurati o messi in secondo piano.
S ha più volte ribadito di come spesso il Covid abbia “rubato la scena” ad altre problematiche e situazioni anch’essi fondamentali: “da un momento all’altro ti ritrovi da una condizione in cui hai un bambino in pancia e poi fuori... sei piena di ormoni… non sei capace a fare determinate cose nuove… non ti senti capita...non esiste solo il Covid!”. Tutto questo l’ha portata a sentirsi poco compresa e poco supportata da chi di dovere per superare il senso d’impotenza inziale che pervade tutte le neo-mamme. È bene dunque sottolineare che il Covid è solo un elemento, per quanto perturbante, che influenza una condizione già densa di cambiamenti, emozioni, momenti di crisi e situazioni che richiedono attenzione e cura.
Le emozioni, le preoccupazioni e le crisi che una neo-mamma o una donna incinta prova, vanno accolte e legittimate per favorire il benessere, in quanto frutto di una condizione psicofisica in evoluzione.
Aspetto interessante è anche il doppio ruolo giocato dalla quarantena: da un lato garante della protezione e dall’altro, limite alla libertà favorendo la solitudine.
S ed R hanno vissuto la quarantena sia praticamente ma soprattutto emotivamente in modo differente, categorizzandola come occasione o limite: per R infatti la quarantena era quasi un miraggio, una sorta di crisalide protettiva che costudiva al suo interno il nucleo familiare in formazione; per S invece è stata come una gabbia dorata che le ha sicuramente fornito una protezione fisica dal virus, permettendole anche di estraniarsi mentalmente da un mondo ostile, ma è anche stata fonte di solitudine e limitazione.
Resta come punto fermo, al di là della gravidanza, l’importanza di “curare” la quarantena; rendendola utile, appagante e funzionale. La quarantena non deve diventare un tempo da riempire ma un’occasione da sfruttare, un momento irripetibile per stare in contatto con se stessi e stimolare le capacità di problem solving e creatività.
Anche durante la gravidanza, la donna, deve essere supportata a gestire il suo tempo e i suoi spazi in modo funzionali rispettando i desideri, le emozioni e gli stimoli fisici che percepisce.
Sempre rispetto alla quarantena, un ulteriore aspetto positivo è stato quello di un progressivo ritorno nel mondo, seguendo anche la curva dei contagi e dunque dei rischi, senza giungere ad una condizione estrema di paura nell’uscire di casa o di incoscienza.
La nascita è coincisa anche con la graduale fine del lockdown ed ha portato la coppia come ad un cambio di pelle: da coppia coniugale ad anche coppia genitoriale. Così come il bambino è passato dal pancione alle braccia della mamma. Questi processi evolutivi richiamano alla mente l’immagine di una delicata crisalide che si schiude ed esce finalmente la farfalla.
Per quanto concerne la coppia, si nota come i due ragazzi abbiano cercato di rimanere uniti supportandosi a vicenda, rendendo e rendendosi reciprocamente partecipi della vita l’uno dell’altro con evidenti difficoltà di gestione della vita relazionale quotidiana.
I ruoli di responsabilità sono stati implicitamente ben definiti ed accettati: in particolare si nota la differenza tra R che ha avuto una doppia responsabilità, familiare e lavorativa; mentre S di tutela del bambino che aveva in grembo e del nido familiare.
La presenza del Covid ha sicuramente influenzato negativamente questa situazione, soprattutto per quanto riguarda la tutela della coppia.
Si nota invece che dal parto in poi c’è un bisogno di ritorno al contatto fisico ed emotivo, “stare insieme mi sembrava un sogno… bisogno di riconoscersi, di ritrovarsi sia come coppia che nel nuovo ruolo”.
L’aspetto di coppia viene spesso trascurato durante la gravidanza ma è essenziale trovare un costante equilibrio nel mentre e un riassestamento nel post-gravidanza.
Oltre la relazione di coppia, si nota come il Covid abbia notevolmente inficiato tutte le relazioni.
Un aspetto che S ha rimarcato più volte è il senso di solitudine dovuto alla quarantena ma anche al distacco e alla freddezza durante le visite prima e dopo il parto. Questo aspetto, come già sottolineato, risulta rischioso perché trasmette alla donna di essere sola nel gestire e comprendere il suo nuovo ruolo e le emozioni che ne derivano.
La pandemia inoltre ha interrotto spesso la possibilità di fare corsi pre e post-partum e ciò ha favorito l’uso di Internet non sempre in modo efficace. S infatti dichiara di essersi iscritta ad un forum e poi aver abbandonato perché fonte di confusione. È necessario che le donne e le famiglie possano contare su servizi sempre presenti che diano loro tutte le informazioni e il supporto psicologico di cui necessitano.
Rispetto alle relazioni, R apre il delicato argomento della non condivisione del momento con le persone care e della non ripetibilità di certi eventi perduti. Il soggetto esprime il suo orgoglio verso la moglie e la nascita del figlio ma è tutt’ora amareggiato per non aver potuto condividere questo aspetto come avrebbe voluto; così come non ha potuto condividere i primi momenti in cui è diventato papà.
Risulta doveroso aiutare le famiglie a ricreare in modi alternativi ed unici situazioni che possano restituire una sensazione di condivisione, senza dovere poi fare i conti con l’amaro sapore del rammarico, nei periodi di distanziamento sociale anche non estremi come la quarantena. È inoltre fondamentale fornire una visione alternativa, meno negative e più strategica della situazione. a tal proposito, riprendendo il rammarico di R; è vero che non si è potuto condividere la gioia iniziale della nascita, ma questo ha anche dato modo di vivere in modo più profondo, tranquillo e privato un momento così importante ed intimo per il nucleo familiare. Dopo tanta distanza tra i coniugi; questa riservatezza ha dato modo di assaporare più profondamente le emozioni e di creare maggiore equilibrio nel nuovo assetto familiare.
La gravidanza, da quando la si inizia a pensare fino a poi al parto, è un complesso processo che implica modificazioni e riequilibri bio-psico-sociali.
Dall’intervista svolta e dall’analisi della medesima, ne deriva l’importanza di un sostegno psicologico in grado di supportare la donna e la famiglia nel suo complesso durante tutto questo delicato processo. È essenziale comprendere, legittimare ed elaborare la emozioni e le paure che si provano durante la gravidanza e il post.
I genitori hanno bisogno di creare uno spazio fisico e psicologico che accolga il nascituro, raggiungendo un equilibrio nel nuovo assetto familiare che valorizzi la coppia coniugale oltre che quella genitoriale.
È inoltre importante fornire alle famiglie un sostegno che dia risposte alle domande sia pratiche che psicologiche limitando il senso di impotenza, le paure e la confusione.
Il Covid ha una forte influenza su questi processi, ma è solo uno dei fattori di influenza che possono intervenire; ragione per cui va considerato, ma non in termini assolutistici e totalizzanti.
A cura di:
Dott.ssa Rossana Iannazzo - Psicologa